1994 - Galleria Gagliardi, San Gimignano
La Materia e l'uso
Diventa sempre più stretto il margine dentro il quale possono operare, nella sperimentazione e nello conseguente ricerco di novità, gli artisti di oggi, visto l'enorme mole (per non parlare dei tempi passati) di invenzioni e di realizzazioni che s'è accumulato nel secolo nostro.
La causa sta, sia nella spropositato crescita del numero degli operatori sia nello loro Facondia per uno continuo richiesto di beni sul mercato culturale in seno od uno società dei prodotti e dei consumi. Difficile quindi anche per lo scultore cimentarsi in nuove tecniche operative che non siano state già espletate, e azzardare nuove ipotesi di linguaggio; o meno che una forte carica interiore unita od un estro e od una fantasia connaturali, non lo liberino da queste pastoie, e, del già visto, sappia servirsi solo per un impiego prettamente strumentale.
Ciò viene subito in mente guardando le opere di Andrea Caruso.
Figlio d'arte, ma nell'ideazione e nello strutturazione cosi diverso del padre come do gran porte degli scultori e ceramisti contemporanei, l'artista si pone in uno condizione quasi di noviziato per una riconquista di prototipi ideati al di là di quella accertata impossibilità e impraticabilità della scultura, estenuata dalla sua stessa storia millenaria.
Anche se ( e qui sta la sua capacità d'assorbimento e di reincarnazione di certe ascendenze, da Boccioni e Brancusi, ma non dalla sua levigatezza, fino o Leoncillo e Mastroianni, passando attraverso tutta la gamma dei materici e degli informalisti ) egli conservi una qualche " memoria " del passato anche più recente. Perchè Andrea Caruso, lasciando alla materia il potere di esprimersi liberamente, non lo intaglia secondo precise necessità di ordine né lo riveste di altre addizionali nervature, mo la lascia alla propria crescita strutturale; e nemmeno vuole impreziosirla di tinteggiature ma cede alla naturale bellezza del cotto quasi per conservarne la rudimentale immagine di terraglia.
Ed è solo l'alterazione del Fuoco, più o meno graduato, che stempera o addensa il naturale colorito dell’argilla. Non è tutto; Caruso introduce un elemento eteroclita alla materia estendendo la sua ricerca al Ferro, precisamente ai tondini da edilizia già contorti per l'uso, incorporati e fuoriscenti dal vivo materico; il che potrebbe farci pensare ad una non epigonica affinità col primo Uncini dei cementi armati.
Ma in Caruso il ferro non è messo come supporto (se non per uno suo necessità operativa) mo serve o determinare un " continuum " di elementi, strutturati nello spazio in uno naturale simbiosi ; e i loro dialoganti rapporti, mai geometricamente definiti, giocano sugli effetti dei pieni e dei vuoti che, o secondo degli spostamenti di visuale, suggeriscono un " ensamble “ , sempre diverso, di scambi, asincronici, seppure ritmati senza forzature ed eccessi. II dinamismo intersecantesi dei due componenti é nelle stesso tempo centrifugo e centripeto quindi concomitante alla naturale crescita dell'opera.
C'è di più perchè lo sculture è aperto olle intuizioni e alle fantasie del lettore, essendo possibile, o secondo degli angoli prospettivi ( e inseguendone il tracciato multiforme fino o fissarne il profilo ) rintracciarvi un visuale aspetto zoomorfo o antropomorfo ( il che potrebbe far pensare un poco o Boccioni, anche se qui il processo è inverso: l'uno partendo dalle forme verso lo spazio, l'altro dallo spazio per incastrarvi le forme ). Ma quel che più mi seduce ( innamorato come sono della qualità della materia)
è il modo come Caruso tratta la creta, quando lasciata intatta ad esprimere se stesso quando appena toccata dalla mano, quasi o voler sublimare le sue congenite, primordiali peculiarità. Superfici grezze, parlanti della propria origine di materia povera, poverissima ma, nel coagulo del fuoco, destinata a vivere alla grande nella dimensione dell’Arte.
A questo punto mi sorge dentro una duplice speranza: che l’Artista mantenga fede A questa scelta di rappresentazione, povera nei materiali ricca nei contenuti, e cvhe la sua vera “veggenza” in tale direzione sia preludio (ma le Arti non hanno sempre percorso i “tempi della civiltà”?) di un epoca a venire, diversa dalla presente, ricostruita con i propositi della misura, della semplicità e della naturalezza.
Vinicio Saviantoni